I riluttanti by Carlo Galli;

I riluttanti by Carlo Galli;

autore:Carlo Galli; [Galli, C.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: eBook Laterza
ISBN: 9788858104668
editore: edigita
pubblicato: 2012-11-14T23:00:00+00:00


4. L’elitismo democratico

Se è vero che gli elitisti di prima generazione – mossi da un intento conservatore – hanno criticato radicalmente il parlamentarismo e hanno interpretato la presenza di élites in democrazia come la smentita dell’assunto moderno che l’uguaglianza sia il cardine teorico e il valore-chiave della politica; se è vero che in Gramsci il principio dell’élite va ben oltre la liberaldemocrazia, per la compattezza del disegno egemonico del partito comunista; è anche vero che, nel pensiero democratico di oggi, c’è posto per l’interazione fra principio delle élites e principio della democrazia.

Attraverso il periplo statunitense, via Lasswell e Wright Mills, Dahl e Schumpeter, fino a Bachrach e a Sartori (ma già Salvemini aveva colto che la teoria delle élites poteva essere liberata dal guscio conservatore e utilizzata per un’azione di formazione di una nuova aristocrazia a base popolare, attraverso la scuola pubblica), la teoria classica delle élites (i cui esponenti sono definiti anche ‘neomachiavellici’) si è conciliata con la democrazia pluralistica. Il che ha permesso di comprendere che le élites si formano anche in contesti democratici – intorno ai possessori del denaro, del sapere, o del know how tecnico-oggettivo (ma la tecnocrazia è una particolare versione della teoria delle élites, priva dell’elemento pluralistico: nei manager di Burnham, nella «gabbia d’acciaio» di Weber, nell’Operaio di Jünger c’è anzi la previsione, secondo i casi entusiastica o angosciata, della scomparsa delle élites tradizionali, e del loro pluralismo, a favore di un’unica nuova élite di tecnici che prendono il posto dei politici) –; e ha permesso di comprendere anche che l’élite non è monolitica né impegnata a incarnare il senso della storia, ma anzi è intrinsecamente plurale: è un insieme di élites sociali, coesistenti e concorrenziali fra di loro, capaci di esprimere – attraverso un conflitto regolato – un’élite politica. E per questa via si è recuperato anche il tema delle libere elezioni e del parlamentarismo, come arena in cui pubblicamente confliggono le élites.

Alla esplicita competizione fra le élites si deve aggiungere anche la loro autentica apertura al ricambio con elementi non provenienti dall’élite stessa. Date queste premesse strutturali, è possibile disegnare un quadro di elitismo democratico in cui il popolo, la non-élite, decide col voto da quale élite vuole essere pro tempore governato: si realizza per tale via una convivenza virtuosa fra popolo ed élites. E infatti oggi si accetta come una parte della teoria della democrazia la tesi che questa sia in realtà una poliarchia, cioè un insieme di nuclei di potere, di élites sociali, che concorrenzialmente perseguono il proprio interesse, e apertamente – purché siano in grado di legittimarsi attraverso logiche universali, cioè di superare rigorosi test di democraticità – si candidano a dirigere la vita pubblica.

Oggi quindi sappiamo che non c’è nulla di anti-democratico nel riconoscere che sono state le élites – aristocratiche, borghesi, operaie – ad anticipare i nuovi orizzonti della società, a elaborare categorie, stili, forme, linguaggi, in grado di imporsi in ambiti più vasti; che le élites sono articolate formazioni di interessi che trovano una cultura che



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